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Il ritorno di Diana Dell’Erba al cinema con Milarepa, il film di Louis Nero

di Leonardo Miraglia

Diana, come ti sei avvicinata a questo progetto e cosa ti ha colpito della figura di Milarepa?

Da tanto tempo porto avanti una ricerca personale. La vita, soprattutto all’inizio, mi ha messa alla prova, e nella seconda parte ho cercato di elaborare tutto il peso e il buio che avevo incontrato prima. Questo mi ha aperto tante strade: tradizioni, discipline, percorsi che aiutano a guardarsi dentro.

La figura di Milarepa mi ha colpita profondamente perché rappresenta proprio questo: un uomo che ha compiuto azioni gravi, anche malvagie, ma che ha saputo redimersi, spostare l’attenzione dalla vendetta alla luce. È una figura simbolicamente potentissima.

Il film è un vero e proprio cammino tra oscurità e redenzione. Ti ha fatto riflettere anche sul tuo percorso personale?

Assolutamente. Personaggi come Milarepa o li eviti, perché ti mettono troppo a confronto con te stesso, oppure ti accendono qualcosa dentro. Ti costringono ad andare oltre i tuoi limiti.

Nel mio caso, mi ha fatto riflettere profondamente sul tema del perdono, sulla capacità di amare e accogliere l’altro per quello che è. Ci chiede: quanto riusciamo davvero ad aprire il cuore? Ad accettare ciò che ci capita e le differenze che ci distinguono?

Secondo te, una figura così spirituale ha ancora qualcosa da dire all’Occidente contemporaneo?

Sì, assolutamente. Viviamo un momento storico molto duro, segnato da una dicotomia fortissima tra esteriore e interiore, tra materia e spirito. E questa separazione sta creando squilibri pericolosi, sia individuali che collettivi.

Milarepa ci insegna proprio questo: ricomporre, unire, ritrovare armonia. È un messaggio potente per noi, che spesso dimentichiamo che il visibile e l’invisibile non sono mondi separati.

C’è un insegnamento o una frase legata al film che porterai con te?

Sì, è legata al mio personaggio: “Il segreto è la pazienza.”
Questa frase per me è diventata centrale. Continuare a camminare anche quando non si vedono risultati, proseguire nella ricerca anche se tutto sembra fermarsi. È qualcosa che porto dentro anche nella vita quotidiana.

E poi, abbiamo girato in Sardegna, in una primavera meravigliosa, nel sito nuragico di Sant’Antine. Un luogo sacro, immerso in una natura che esplode di bellezza. Anche questo è stato parte del dono del film.

Com’è stato lavorare con Louis Nero, che conosci da tempo?

Louis mi sorprende ogni volta. Ha un’urgenza artistica vera, un fuoco sacro che lo guida. Sul set è una forza della natura: ha tutto sotto controllo, non perde mai la calma, anche nei momenti critici.

Ricordo una giornata di pioggia ininterrotta dentro al nuraghe, con tutta la scenografia montata e tante comparse in scena. Eppure lui ha saputo trovare una soluzione, senza nervosismi, con una lucidità e una pazienza fuori dal comune. È un esempio raro.

Dopo questo progetto, ti piacerebbe continuare a lavorare su opere di ispirazione spirituale?

È il mio sogno. Io ho una formazione che nasce da un percorso molto specifico: ho studiato con Mamadou Dioume, uno degli attori del Mahabharata di Peter Brook. Con lui ho compreso che il lavoro dell’attore può diventare canale, ponte tra il visibile e l’invisibile.

L’idea di poter continuare su questa strada, di incontrare altri artisti che condividono questa visione, è ciò che desidero di più.

Hai altri progetti in arrivo?

Sì, quest’estate prenderò parte al film L’ora di tutti, l’opera prima di Stefania Rocca. È tratto da un bellissimo romanzo ambientato a Otranto, quindi ancora una volta saremo immersi in una natura potente, protagonista silenziosa della narrazione.

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Last modified: Giugno 18, 2025
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